Categoria: Rivista Online - Edizione - Luglio 2016

Lungo la fragile, eppure persistente, rete dei tratturi che segna i paesaggi del meridione d'Italia, dall'Abruzzo alla Puglia, scorrono centinaia di anni di storia del nostro paese, attraverso la muta epopea dei pastori e delle greggi transumanti che seguendo i ritmi della natura, a settembre e a maggio, si muovevano dalle montagne al mare e viceversa, alla ricerca del proprio sostentamento. La pastorizia è fenomeno antico ed è stato in passato un formidabile volano economico per i territori interni, così importante da aver avuto regolamentazione legislativa a partire dal 1447 quando re Alfonso I d'Aragona istituisce la Dogana della mena delle pecore in Puglia, con cui si rendeva obbligatoria la transumanza per chi avesse più di 20 pecore. Da allora la civiltà pastorale ha costruito se stessa con la fatica, l'eterna ripetizione di atti, gesti, riti, e ha costruito un sistema economico, culturale, di insediamento territoriale, complesso e articolato, spesso in dialettico contrasto con l'agricoltura, cui finirà per soccombere solo all'inizio del '900 quando i pascoli del Tavoliere di Puglia verranno affrancati dai vincoli che ne avevano impedito la coltivazione. Il mondo pastorale in centinaia d'anni ha lasciato impronte sulle terre che le greggi attraversavano, ha generato usi, costumi, gerarchie sociali, filiere produttive connesse alla lana e ai derivati del latte, procedure giuridiche, oggetti, culti e rituali sacri con figure di santi veneratissimi, come Michele Arcangelo, e un sistema di saperi ricco e multiforme del quale siamo tutti eredi e custodi. Se la transumanza vera e propria non esiste più, esiste però la pastorizia, per la quale oggi più che mai dobbiamo parlare di impresa armentizia, tenacemente voluta da imprenditori, pastori, operatori che con scelta consapevole e fortemente identitaria continuano antiche tradizioni con i modi e i mezzi della contemporaneità, dando luogo a produzioni d'eccellenza. Questa nuova generazione di pastori "resilienti" sta riportando in vita anche luoghi e distretti territoriali che la globalizzazione economica e culturale trascura e che invece possono essere inseriti in circuiti turistici alternativi in grado di valorizzare la nostra regione in tutti i suoi aspetti.

La civiltà pastorale che in Italia ha assunto le forme peculiari della transumanza, lo spostamento stagionale di pastori e greggi sostanzialmente in due limitati periodi dell'anno, tra i monti dell'Appennino abruzzese e i pascoli del Tavoliere di Puglia, in Iran, l'antica Persia, è ancora oggi, come nei secoli passati, autenticamente nomade. In un paese sterminato, grande 5 volte l'Italia, finora isolato dal resto del mondo per vicende politiche e storiche ma oggi impegnato in un processo di apertura nel quale l'Italia è un protagonista precoce e attento, convivono aspetti culturali, modi di vita, tradizioni, usi, modi di pensare, ancora profondamente antichi, ma anche straordinari lieviti di modernità, soprattutto nelle grandi realtà urbane, dove vivono milioni di persone di diversa etnia. Negli altopiani centrali semidesertici o sulle montagne del nord, spesso ricche di vegetazione e acqua, si muovono ancora nelle terre dei loro avi, secondo gli ancestrali ritmi della Natura, i nomadi Qashqai e Talysh, due dei gruppi migranti che popolano ancora l'Iran moderno. Entrambe le etnie allevano pecore, il loro principale mezzo di sostentamento, dalle quali ricavano latte e lana. Con quest'ultima le donne realizzano tessuti e i tappeti che hanno reso la Persia nota in tutto il mondo. Tenacemente attaccati alle loro tradizioni e ai loro costumi, i popoli migranti si spostano in comunità compatte, uomini, donne, bambini, vecchi, talvolta sulle blu car, mezzi indistruttibili sui quali caricano tutti i loro averi, che di recente hanno affiancato gli animali da trasporto. I Talysh del nord costruiscono capanne in legno, pietre e fango per protreggersi dai rigori del clima montano, e in alcuni casi diventano coltivatori stanziali di riso e di the,  i Qashqai erigono tende scure foderate all'interno con i loro multicolori tappeti e tessuti. Entrambi i "popoli della lana" hanno mantenuto la loro fisionomia peculiare e la loro identità culturale anche all'interno dell'Iran moderno.
 
Fonte: Goffredo Palmerini