Categoria: Rivista Online - Edizione - Agosto 2016

 

PESCARA – E’ un caldo sabato, il 6 d’agosto, quando poco prima delle 11 raggiungo la sala “Figlia di Iorio” della Provincia di Pescara, al primo piano del Palazzo che, insieme a quello del Comune, fanno da quinta a Piazza Italia. Vi si tiene un’edizione speciale del Premio “Antonio Zimei” dedicata agli “Abruzzesi dell’Anno all’estero”, a personalità che si sono particolarmente distinte nel mondo onorando la propria terra d’origine. E’ sempre una grande emozione entrare in quella sala. Chi lo fa per la prima volta non s’aspetterebbe di trovarvi, se non dal nome, la grandiosa tela dipinta nel 1894 da Francesco Paolo Michetti, con la quale l’anno dopo il pittore di Francavilla trionfò alla Biennale di Venezia. L’artista, grande amico di Gabriele d’Annunzio, in quella splendida opera, con la Majella sullo sfondo, impressiona una scena della “storia” di Mila e Aligi, da cui trasse poi spunto il Vate per la sua famosa tragedia. La grande tela è sulla parete laterale destra, per chi entra nella sala, talvolta protetta da un sipario rosso. Ma quando la si scopre, quantunque con i suoi colori un po’ cupi, illumina di pathos e rapisce l’attenzione. Specie quella splendida ragazza con il costume bianco e rosso - Mila, la figlia di Iorio - che sembra abbandonare con decisione la scena.

L’iniziativa odierna è promossa dall’Associazione “Ambasciatori della Fame” e dal suo presidente onorario Geremia Mancini, un passato ai vertici d’un sindacato nazionale, ora appassionato studioso e ricercatore di personaggi abruzzesi che ovunque nel mondo hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia della nostra emigrazione. O di personalità che attualmente rendono onore e prestigio, con la propria opera, all’Abruzzo che gli ha dato i natali. Insigniti del riconoscimento “speciale” 2016, come Abruzzesi dell’Anno all’estero, sono l’artigiano Sante Auriti, il “mago dei pianoforti”, e Marcello Maviglia, psichiatra, docente all’University of New Mexico di Albuquerque e studioso dei Nativi americani. Il terzo riconoscimento “alla memoria” è per Vincenzo Franceschini, grande imprenditore in Canada nella prima metà del Novecento. La sala, all’ora stabilita per l’inizio dell’evento, è gremita. Sono già presenti in prima fila Auriti e Maviglia, l’assessore regionale all’Emigrazione Donato Di Matteo, il sindaco di Pescara Marco Alessandrini, il presidente della Provincia Antonio Di Marco, ed altre autorità. Il panel dei relatori vede impegnati Geremia Mancini, che introduce i lavori e modera gli interventi, Sabrina Zimei, giovane architetto presidente della Fondazione Zimei, Generoso D’Agnese, giornalista e scrittore, e Goffredo Palmerini - chi scrive - presidente dell’Osservatorio Regionale dell’Emigrazione abruzzese.

Dopo un prologo sul Premio, sulle prestigiose personalità insignite nel corso delle quattordici edizioni finora svolte, Geremia Mancini motiva l’edizione speciale 2016 con la presenza in Abruzzo delle due personalità insignite. Invita quindi Generoso D’Agnese ad illustrare il profilo biografico del primo premiato. “Sante Auriti - riferisce D’Agnese - è nato nel 1951 ad Orsogna, in provincia di Chieti. Dopo una parentesi d’emigrazione in Germania, nel 1979 raggiunge New York dov’è presente una cospicua comunità di orsognesi, organizzati in tre associazioni e concentrate in gran parte ad Astoria, nel distretto di Queens. Auriti è un artigiano di gran classe, come subito s’accorge il management della famosa fabbrica di pianoforti Steinway & Sons. La sua maestria artigiana, il suo talento nel riconoscere dall’odore la qualità dei legni, lo mettono presto in evidenza. Diventa il “piano man” della Steinway, specie quando si tratta di costruire strumenti non di serie, per particolari clienti che non badano a spese. E’ uno spettacolo vederlo lavorare nel suo laboratorio. Tanto che la Steinway lo insedia a Manhattan, in una “show room” sulla 57th Street, a due passi dalla Fifth Avenue. Migliaia e migliaia di persone si fermano guardarlo lavorare nella costruzione di pianoforti. Una straordinaria promozione e un grande ritorno d’immagine per la grande casa newyorkese, con protagonista il suo artigiano di punta: Sante Auriti, appunto. Un caso diventato motivo per un articolo a tutta pagina del New York Daily News, per il New York Times che ci ha fatto un servizio fotografico, per un bell’articolo sul Corriere della Sera, per una pagina intervista su America Oggi, per altri articoli su diverse testate on line. A tutti Sante racconta la sua storia d’emigrazione, le sue origini abruzzesi, il suo sogno americano diventato realtà e il prestigio conquistato presso la Steinway. Tutto grazie alla sua maestria artigiana e alle doti umane. Tanta l’attenzione che i grandi pianisti e musicisti gli riservano quando lo consultano nel suo laboratorio. Ma notevole anche la sua attività sociale, in seno alla comunità orsognese nella Grande Mela.”

Donato Di Matteo viene chiamato a portare il saluto della Regione Abruzzo e a consegnare il Premio Zimei - una Targa d’argento con una celebre immagine d’emigrazione - a Sante Auriti. L’assessore Di Matteo sottolinea l’importanza di iniziative come questa che hanno il merito di mettere in luce le eccellenze dell’emigrazione abruzzese. Il suo impegno, come amministratore regionale, da sempre è stato diretto a valorizzare lo straordinario patrimonio intellettuale ed umano degli Abruzzesi nel mondo, - quasi un milione e settecentomila - che non chiedono nulla, se non d’essere conosciuti ed apprezzati. L’Abruzzo, aggiunge l’assessore, è orgoglioso di loro, li accoglie con il sorriso sulle labbra, è consapevole che con il loro valore possono realizzarsi opportunità importanti per lo sviluppo regionale. E la Regione sta lavorando in questo senso. E’ lieto di consegnare il Premio Zimei ad un orsognese, qual è Auriti, alla presenza del sindaco di Orsogna, Fabrizio Montepara. Anche il sindaco encomia il suo concittadino. Ricorda peraltro la visita d’una delegazione municipale resa due anni fa negli States alle comunità degli orsognesi di New York e del Massachusetts. Segnala infine come la bella Mila, la ragazza in abito rosso del celebre dipinto di Michetti, fosse Giuditta Saraceni, un’orsognese, dunque, la modella della Figlia di Iorio, e orsognese anche il contesto ambientale riportato sulla tela. 

Geremia Mancinidà quindi la parola a Sabrina Zimei, presidente della Fondazione Zimei e figlia di Antonio, imprenditore alla cui memoria il premio è intitolato. Nel suo saluto Sabrina Zimei richiama con determinazione l’impegno a sostenere iniziative culturali di qualità, tra le quali sicuramente si colloca il Premio. Nell’intervento a seguire, chi scrive ha sottolineato con forte apprezzamento l’opera di mecenatismo della famiglia Zimei, illuminati imprenditori che hanno scelto la cultura come campo d’investimento sociale. Una scelta importante che va segnalata ad esempio. Ora che le istituzioni pubbliche soffrono d’una congiuntura difficile della finanza pubblica l’opera illuminata di imprenditori che privilegiano iniziative culturali non effimere va doverosamente segnalata ed encomiata. La Fondazione Zimei, infatti, è proprio un bell’esempio d’impegno culturale, particolarmente nel campo delle arti, come conferma in una recente dichiarazione la presidente: “L’arte, in tutte le sue declinazioni, può solo arricchire ognuno di noi. Sono convinta che le nostre iniziative siano utili a far conoscere gli artisti abruzzesi in Italia, ma soprattutto a rendere l’arte alla portata di tutti”. Più che una dichiarazione, è un encomiabile progetto di vita d’una imprenditrice che sa guardare al valore sociale ed etico della cultura. Chapeau! Il mio saluto va quindi ai premiati, al loro rendere un grande servizio d’immagine e di promozione dell’Abruzzo, ovunque nel mondo. Infine il valore delle comunità abruzzesi, anche nel campo della solidarietà. Cito il caso che ha proprio riguardato gli orsognesi di New York.  Durante le cure in un ospedale di New York hanno adottato Iaia, una bambina che dall’Abruzzo alla Grande Mela si è trovata e sentita in famiglia, insieme ai suoi genitori, tra gli orsognesi di Astoria, nei lunghi mesi di terapia. Bastò una semplice email a Maria Fosco, la compagna di vita di Sante Auriti, per mettere in moto una grande prova di sensibilità e generosità solidale. A Maria, qui presente, la nostra gratitudine e l’orgoglio di vederla personaggio di spicco a New York, presso il Queens College della CUNY e vice presidente dell’Italian American Museum, del quale è stata cofondatrice con il prof. Joseph Scelsa.

Sono le puntuali annotazioni di Generoso d’Agnese ad illustrare la figura del prof. Marcello Maviglia. Un’opera d’informazione sull’insigne cattedratico abruzzese che già D’Agnese ha effettuato con la sua attività giornalistica su importanti testate italiane all’estero. “Marcello Maviglianon cerca il West sulle polverose piste solcate nella prateria, ma cerca invece tracce di un disastro causato dal silenzioso genocidio operato da cinque secoli di colonizzazione bianca nel Nordamerica e che ha spinto ai margini della società migliaia di nativi. Nato nel 1955 ad Avezzano (L’Aquila), Marcello Maviglia è figlio di un noto commerciante e nipote di due combattenti partigiani. La madre nacque invece a New York e da piccola si trasferì in Italia. Cresciuto in una famiglia italo-americana, Marcello si è laureato in medicina e specializzato in psichiatria presso la New York State University di Buffalo. Il suo percorso professionale lo ha portato a specializzarsi anche in tossicodipendenze presso la Case Riserve University di Cleveland e, infine, in medicina forense e gestione della qualità nel servizio sanitario. Il master in Pubblic Health completa un quadro professionale che fa di lui uno dei più autorevoli esperti americani nello studio del danno psicologico e fisico. Professore presso l’Università del New Mexico, Marcello Maviglia lavora oggi ad Albuquerque a stretto contatto con il Center for Native American Health, condividendo i suoi studi sul trauma storico con un gruppo di ricercatori nativi americani. Sposato con Tassy Parker, sociologa nativa americana appartenente alla nazione irochese, Maviglia ha attinto proprio al ricco humus della storia nativa la propria ispirazione per il lavoro di ricerca. I suoi studi stanno mettendo in luce risvolti importanti ed inediti nel campo delle dipendenze dei nativi d’America.”

Geremia Mancinichiama il Presidente della Provincia a portare il saluto e premiare il prof. Maviglia. Il presidente Antonio Di Marco sottolinea l’importanza degli emigrati abruzzesi nello sviluppo della regione nel dopoguerra, grazie alle loro rimesse. Ma richiama anche, da parte delle istituzioni, l’impegno a costruire relazioni durature con le comunità abruzzesi nel mondo, conoscendone da vicino storia e valori. Con il loro contributo di lavoro e di intelligenza le nostre comunità hanno realizzato anche la crescita dei paesi d’accoglienza, oltre al raggiungimento di significativi traguardi d’affermazione. Come il caso del prof. Maviglia, cui oggi si tributa il riconoscimento. Nel ricevere dal presidente Di Marco il Premio Zimei, Marcello Maviglia si dice onorato dell’attenzione che l’Abruzzo gli sta riservando. Parla poi della sua esperienza professionale nel campo della ricerca delle dipendenze da alcool e droghe nei nativi d’America. Una ricerca che non dura un mese o un anno, ma ha avuto inizio ben 15 anni fa. Una ricerca difficile, che non ha grant, ossia non gode di finanziamenti pubblici, né è sostenuta dall’industria farmaceutica, come la gran parte delle ricerche mediche ed epidemiologiche. E tuttavia l’impegno di civiltà legato alla conoscenza dell’epopea dei nativi, segnata da un vero genocidio non ancora entrato nella storia dell’umanità, porta avanti le ragioni stesse d’una pluriennale ricerca che presto verrà definita con una corposa pubblicazione che ne analizza e rendiconta i traumi storici. “Sono davvero grato alla mia regione d’origine per questo riconoscimento”, conclude il prof. Maviglia.

Geremia Manciniannuncia quindi un breve filmato sulla figura di Vincenzo Franceschini, pescarese emigrato in Canada e lì imprenditore di successo nel settore delle costruzioni, ma anche benefattore. Dopo la proiezione del video, con molte foto d’epoca e lacerti di filmati sulla vita di Franceschini, Mancini ne illustra la biografia essenziale, che esalta un personaggio di rilevante caratura, finora pressoché sconosciuto. “Vincenzo James Franceschini era nato a Pescara nel 1890. Per anni fu uno dei più grandi imprenditori in Canada. Quando con la moglie creò una fondazione a scopo filantropico, disse: Come non posso amare o aiutare un povero?Lo sono stato e so quanto si soffre!Sin da bambino mostrò un’intelligenza assai vivace. Il padre, venditore ambulante, lo portava sempre con sé. Da lui il piccolo Vincenzo apprese l’arte degli affari. Un episodio gli accese poi l’amore per i cavalli, che durerà una vita. Lasciato solo dal padre con l’incasso della giornata, minacciato con il coltello da tre malviventi che volevano derubarlo, alle sue resistenze picchiato da costoro, fu salvato dall’intervento del suo cavallo da tiro scagliatosi contro i malfattori e costringendoli alla fuga. Amava raccontare: Debbo la vita a un cavallo! Forse per questo motivo, tra le molteplici attività, Vincenzo divenne proprietario di importanti scuderie allevando e vendendo cavalli a mezzo mondo. All’età di 15 anni il padre gli permise d’emigrare in Canada e seguire il suo sogno. Qualche anno dopo gran parte della famiglia lo raggiunse all’estero, ad eccezione del padre e d’una sorella. Lavorò dapprima in fonderia, poi in un’impresa di scavi. Cambiò il nome in James. Qualche anno dopo, con i suoi risparmi, fondò una società di scavi tutta sua, divenendo anche grazie a macchinari innovativi un leader del settore. Seguì, con la costituzione d’una nuova società, l’ingresso nel mondo delle costruzioni. Intanto, sposata nel 1913 la bella Annie Lydia Pinkham, divenne cittadino canadese. A 24 anni era già milionario. Ottenne appalti dal comune di Toronto per la manutenzione delle strade, poi si aggiudicò la costruzione delle fondamenta per uno stabilimento della General Motors. Nel 1917 la sua società Dufferin Construction conquistò l’appalto per la costruzione di strade di grande comunicazione. Da quel momento gran parte delle strade, sopra tutto dell’Ontario, sarà appannaggio della sua società. Intanto la sua scuderia di cavalli di razza hackney consegue eccellenti risultati e la rivista Time lo cita quando vince nella competizione al Madison Square Garden. Con sua moglie Annie, James si dedica anche ad opere di carità e solidarietà. Nel 1930 allarga anche nel Quebec la sua attività nelle costruzioni. E’ delle sue società la costruzione dell’autostrada Alaska Highway, lunga 2451 chilometri. Nel 1939 costruisce navi da guerra per il Canada e la Gran Bretagna. Con la dichiarazione di guerra dell’Italia al Canada, molti emigrati d’origine italiana vengono internati in appositi campi di detenzione. Franceschini, accusato d’aver legami con organizzazioni fasciste, viene internato nel Campo Petawawa e rilasciato un anno dopo per un cancro alla gola. Prese la disavventura con ironia: Mi sono fatto un anno di collegio a loro spese!, diceva. Successivamente il Governo canadese riconobbe l’internamento di James come un grave errore. Torna al lavoro con altri successi. Ovunque si costruiscono strade c’è la firma della sua impresa Dufferin. Nel frattempo vince anche la sua battaglia più difficile, guarendo dal cancro, ed è una sequela di inaugurazioni di opere pubbliche - asili, case di riposo, mense per i poveri - costruite grazie alla generosità sua e della moglie. Vincenzo James Franceschini muore nel 1960. Alle esequie partecipa tutto il mondo politico, istituzionale ed imprenditoriale del Canada, ma soprattutto i suoi operai, le loro famiglie, i poveri che avevano conosciuto la sua generosità. Un imponente servizio d’ordine regolò l’affluenza delle oltre 10 mila persone al suo funerale, per l’ultimo saluto al “grande Papà”. Davvero un personaggio straordinario, per capacità imprenditoriale e generosità.”

E’ il sindaco di Pescara, Marco Alessandrini, invitato a ritirare il riconoscimento “alla memoria” di Vincenzo James Franceschini, un concittadino così valoroso. Il sindaco, lodando l’iniziativa e l’appassionato lavoro di ricerca compiuto da Geremia Mancini, specie nel campo dell’emigrazione abruzzese che va dimostrandosi così ricco di storie sorprendenti e di personaggi straordinari, assicura l’impegno del Comune a ricercare in Canada i discendenti di Franceschini per invitarli a Pescara e consegnare loro il Premio Zimei. Sarà un’occasione emozionante per far tornare in qualche modo nella sua terra d’origine Vincenzo Franceschini, attraverso i suoi eredi. Un’occasione ulteriore per onorare degnamente la memoria dell’illustre figlio della città di Pescara.

Foto:

1- La sala Figlia di Iorio, con la celebre tela di Francesco Paolo Michetti.
2- Goffredo Palmerini, Generoso D'Agnese, Geremia Mancini, Sabrina Zimei.
3-in prima fila, da sinistra: Guerino Testa, Marco Alessandrini, Donato Di Matteo, Sante Auriti.
4- Geremia Mancini, (seduti) Sante Auriti e l'assessore regionale Donato Di Matteo, Sabrina Zimei.
5- Geremia Mancini, Marcello Maviglia, Antonio Di Marco, presidente della Provincia di Pescara.
6 - Goffredo Palmerini, i premiati Sante Auriti e Marcello Maviglia, Generoso D'Agnese.