Categoria: Rivista Online - Edizione - Agosto 2015

Public Finance Corporation (PFC), un'agenzia di finanziamento governativa di Porto Rico non ha assolto al pagamento di 58 milioni di dollari

Porto Rico (Estado Libre Asociado de Puerto Rico) è in default. La conferma è giunta dal numero uno della Government development bank che ha dichiarato che quella di non onorare i propri impegni verso gli obbligazionisti "è stata una decisione che riflette le preoccupazioni serie sulla liquidità" del territorio Usa. Porto Rico non può rimborsare i 58 milioni di dollari che doveva ai detentori di determinati suoi bond e per la cronaca, dopo otto anni di recessione, è il primo default in 117 anni di storia come territorio statunitense e perdippiù, per il suo “status” particolare, al contrario degli altri stati americani, non può chiedere il concordato per proteggersi dai creditori.

Infatti, a seguito di un referendum popolare, con il 61,15% delle preferenze favorevoli, gli abitanti del luogo (3.749.009)  hanno scelto di divenire uno Stato Federato degli Stati Uniti d'America, che secondo i punti di vista conferirebbe all´Isola lo status di Commonwealth o come in molti sostengono quello di "Colonia de secolo XXI".

In seguito al mancato pagamento, Moody's ha subito sentenziato: "Porto Rico non ha le risorse per effettuare i pagamenti futuri sul debito” e procedendo sulla stessa linea le agenzie di rating credono che "questo sia il primo di vari default sul debito del Commonwealth". Nicholos Venditti, co-manager di Thornburg, ha spiegato a Barron's che "l'esito finale sarà decisamente peggiore di quanto visto fino ad ora. Questo è l'inizio della fine". Il governatore portoricano Alejandro Garcia Padilla aveva già riconosciuto in pubblico la gravità della situazione. Secondo l´agenzia Bloomberg i principali creditori di Portorico sono hedge fund e mutual fund quantificabili in circa 20 miliardi e 10 miliardi di dollari, rispettivamente. Il debito totale del Paese è addirittura pari a circa 73 miliardi di dollari. Una montagna definita "impagabile" dal governatore Alejandro García Padilla, che sta preparando una proposta di moratoria i cui dettagli sono attesi per il primo settembre prossimo.

Ma come Porto Rico potrà venir fuori da questo indebitamento colossale?

La strategia è apparsa a giugno nel cosiddetto Krueger report. Questo documento spiega come il governo taglierà i costi e aumenterà le tasse in cambio di una parziale ristrutturazione del debito. Il report propone i soliti rimedi e cioè forti tagli alla spesa e riforme radicali del mercato del lavoro per promuovere la crescita delle imprese, non escludendo, nel caso specifico, l'abbassamento del salario minimo del territorio per aiutare la crescita delle piccole e medie aziende.

Comunque vadano le cose il simpatico Paese caraibico per ottenere nuovo credito oramai dovrà sudare le proverbiali sette camicie e chissà a che tassi mentre una cosa appare certa: il problema non si risolverà semplicisticamente riducendo la spesa pubblica e aumentando le tasse.

Questa è una vecchia ricetta i cui risultati non sono confortanti, tutt´altro. Basta guardare in casa nostra dove la spesa pubblica da circa un ventennio è stata soggetta a tagli senza però intervenire sugli sprechi e sui privilegi. I tagli non sono stati operati criteriosamente e le politiche d´austerità hanno purtroppo abbattuto la crescita dell´economia favorendo la disoccupazione.

La spesa pubblica italiana, per esempio, è in linea, secondo le statistiche, con la media dei paesi europei. Ne consegue che non è un rimedio valido tagliare la spesa pubblica ma è necessario riqualificarla. Secondo noi la crisi che attanaglia i Paesi in difficoltà come la Grecia, Portorico e perché no, anche l´Italia non è solo crisi finanziaria. Quest´ultima è una conseguenza di una causa ben precisa; il famelico modello economico e produttivo fondato sulla crescita spropositata della produzione di merci e prodotti. Solo che a questo punto sorge una domanda: È giusto che siano i risparmiatori a pagare i debiti che gli Stati hanno contratto (incentivi, esenzioni, agevolazioni etc.) per consentire che le grandi aziende potessero vendere tutta la loro produzione? Giusto sarebbe che a pagare i conti siano le classi sociali che hanno lucrato con la vendita dei loro prodotti ma nella pratica questa soluzione non si verifica perchè è il mondo economico che fa le regole e non le fa di sicuro contro i propri interessi. A questo punto e per concludere possiamo affermare: una politica economica e industriale che miri alla riduzione dei consumi inutili, all´eliminazione degli sprechi e alla riorganizzazione dei servizi e delle strutture basterebbe di per sè ad aggiustare i conti consentendo ai paesi industrializzati di uscire dal vortice dei debiti che li risucchia. Ma c´è questa volontà politica, dal momento che la politica dipende dalla finanza o la follia della finanza ci porterà tutti e stavolta, politica compresa, allo sfacelo?